Agata è stata una delle martiri più venerate dell’antichità cristiana, fu messa a morte durante la persecuzione di Decio (249-251) a Catania, per non avere mai tradito la professione della sua fede cristiana.
La sua biografia scritta menziona interrogatori, torture, una resistenza perseverante e la vittoria di una fede incrollabile. Il suo martirio testimonia come a Catania sicuramente già nel III secolo esistesse una comunità cristiana. Altra conferma proviene dal rinvenimento a Catania nel 1730 di un’iscrizione datata tra la fine del III secolo e gli inizi del IV che segnalava la sepoltura di Iulia Florentina, una bambina di Ibla sepolta, per volere dei genitori, «dove sono le sepolture dei martiri cristiani». Tale iscrizione testimonia l’immediata diffusione del culto di sant’Agata, dopo la sua morte, non solo in città, ma anche fuori dal territorio etneo. Va ricordata a tal proposito anche l’iscrizione rinvenuta a Ustica (Palermo), databile alla fine del III secolo dove si accenna a una certa Lucifera morta il giorno di Agata. Circa la diffusione immediata anche in Oriente interessante è la testimonianza di Metodio di Olimpo (c. 250-311), in Licia, che nella sua opera “Symposium” fa riferimento ad Agata presentando la sua vita come modello di vita cristiana.
Secondo gli atti del martirio, Agata nacque in una famiglia ricca e nobile. La località di nascita è stata in passato messa in discussione: si pensava fosse nata a Palermo o, più probabilmente, a Galermo nei dintorni a nord di Catania. I documenti narrativi del martirio di Agata in realtà tacciono sui natali della Santa e tali citazioni restano dunque infondate. Tuttavia essi indicano in tre punti i sostanziali indizi sulla sua natività a Catania. Agata fu martirizzata a Catania; la stessa redazione latina riferisce che Quinziano interpella Agata invitandola a dire di che condizione fosse, e riferisce che Agata rispose a Quinziano dicendo: «Io non solo sono libera di nascita, ma provengo anche da nobile famiglia, come lo attesta tutta la mia parentela»; con queste parole Agata dichiara che tutta la sua parentela era presente e residente a Catania, oltre a esservi residente lei stessa e a essere nativa proprio di lì. Anche sulla data di nascita non esiste particolare certezza. Se la tradizione popolare indica l’età della fanciulla nella fascia adolescenziale e nello specifico le attribuisce 15 anni, recenti ipotesi retrodatano la nascita della Santa al 229/230 circa, facendo riferimento al flammeum, il velo del sacerdozio del primo cristianesimo, e al ruolo di diaconessa che le viene attribuito dalle prime rappresentazioni iconografiche attribuendo dunque un’età di circa 21 anni. Effettivamente, cosa documentata dalla tradizione orale catanese, dai documenti scritti narranti il suo martirio e dalle raffigurazioni iconografiche ravennate, con particolare riferimento alla tunica bianca e al pallio rosso, Agata viene rappresentata come una vera e propria diaconessa della Chiesa dei primi secoli. Inoltre, da un punto di vista giuridico, Agata aveva il titolo di “proprietaria di poderi“, cioè di beni immobili. Per avere questo titolo le leggi dell’impero romano pretendevano il raggiungimento del ventunesimo anno di età. Rimanendo sempre in tema giuridico, durante il processo cui Agata fu sottoposta, fu messa in atto la Lex Laetoria, una legge che proteggeva i giovani d’età compresa tra i 20 e i 25 anni, soprattutto giovani donne, dando a chiunque la possibilità di contrapporre una actio popularis: infatti il processo di Agata si chiuse con un’insurrezione popolare contro Quinziano, che dovette fuggire per sottrarsi al linciaggio della folla catanese.
Nel periodo fra la fine del 250 e l’inizio del 251 il proconsole Quinziano, giunto alla sede di Catania anche con l’intento di far rispettare l’editto dell’imperatore Decio, che chiedeva a tutti i cristiani di abiurare pubblicamente la loro fede, mise in atto una feroce persecuzione. Quando la vide, Quinziano s’invaghì della giovinetta e, saputo della consacrazione, le ordinò, senza successo, di ripudiare la sua fede e adorare gli dèi pagani. Si può ipotizzare, coesistente a ciò, anche un quadro più complesso: ovvero, dietro la condanna di Agata, la più esposta nella sua benestante famiglia, poteva esserci l’intento della confisca di tutti i loro beni.
Rivelatosi inutile il tentativo di corromperne i principi, Quinziano diede avvio a un processo e convocò Agata al palazzo pretorio. La tradizione ha tramandato i dialoghi tra il proconsole e la santa, da cui si evince senza dubbio come ella fosse edotta in dialettica e retorica.
A Catania, nella Chiesa di Sant’Agata la Vetere si conserva il luogo indicato come sala del pretorio romano dove vennero eseguite le torture e i processi. La tradizione indica che nella notte venne visitata da San Pietro, che la rassicurò portandole conforto e ne risanò miracolosamente le ferite. Venne infine sottoposta al supplizio dei carboni ardenti. A Catania, nella chiesa di San Biagio, conosciuta anche come Chiesa di Sant’Agata “alla fornace”, si conservano, nell’altare laterale della cappella di Sant’Agata, le pietre e la terra che secondo la tradizione tormentarono Agata il 5 febbraio 251 d.C. La notte seguente all’ultima violenza, il 5 febbraio 251, Agata spirò nella sua cella. Se non esiste dubbio storico alcuno sulla morte per martirio, che è autenticato, anche dall’enorme diffusione del culto oltre il luogo natio e fin dall’antichità, tuttavia, non abbiamo sufficienti dettagli storici sulla sua morte. Tra le torture subite vi fu il taglio dei suoi seni con le pinze. Sant’Agata fu poi condannata ad essere bruciata sul rogo, ma un terremoto la salvò da quel destino; fu allora condotta in prigione, dove San Pietro le apparve e guarì le sue ferite. Sant’Agata morì in prigione, nell’anno 253 al tempo di Decio, l’imperatore di Roma. Sull’anno della morte, a causa di errate traduzioni, viene infatti riportato il 253 da Iacopo da Varagine, mentre il vulcanologo Carlo Gemmellaro riporta il 252, ma la maggior parte delle fonti riporta il 251.
La Cattedrale di Catania è consacrata a Sant’Agata. Secondo la tradizione maltese, durante la persecuzione dell’imperatore romano Decio (249 – 251), Agata fuggì dalla Sicilia insieme ad un gruppo di altre persone, e si rifugiò a Malta. Alcuni storici ritengono che il suo soggiorno sull’isola sia stato piuttosto breve, e che lei abbia trascorso le sue giornate in una cripta rocciosa presso Rabat, pregando e insegnando la fede cristiana ai bambini. La cripta di Sant’Agata è una basilica sotterranea, venerata dai maltesi fin dai primi secoli. Al tempo del soggiorno di Sant’Agata, la cripta era una piccola grotta naturale che più tardi, durante il IV o V secolo, fu ingrandita ed abbellita. Ancora dopo l’epoca della riforma, Agata fu mantenuta nel calendario liturgico protestante. La ricorrenza di Sant’Agata è il 5 febbraio. Molte chiese parrocchiali della Chiesa dell’Inghilterra sono a lei dedicate. La festa di Sant’Agata ricorre il 5 febbraio anche per la Chiesa Cattolica e per la Chiesa Ortodossa.
Nel 1040 il generale bizantino Giorgio Maniace trafugò le reliquie della Santa per portarle a Costantinopoli. Nel 1126 due soldati, che erano stati in precedenza in servizio nell’esercito bizantino, Gisliberto (secondo i documenti chiamato anche Gilberto o Giliberto) e Goselmo (uno di origine francese e l’altro salentino di Gallipoli), rubarono i resti della martire per restituirle al Vescovo di Catania Maurizio, la consegna avvenne nel Castello di Aci, l’odierna Aci Castello. Secondo il vescovo Maurizio di Catania, Gilberto, che all’epoca era al servizio dell’imperatore Giovanni II Comneno (1118 – 1143), decise di intraprendere tale missione dopo aver ricevuto una visione della Santa. Il 17 agosto 1126, le reliquie rientrarono nel Duomo di Catania. Altre reliquie della Santa, come ad esempio piccoli frammenti di velo e singole ossa, sono custodite in chiese e monasteri di varie città italiane ed estere. Un braccio è custodito nella Cattedrale di Palermo. Il velo di Sant’Agata è una reliquia conservata nella Cattedrale di Catania in uno scrigno d’argento insieme ad altre reliquie della giovane. Secondo una leggenda il velo fu usato da una donna per coprire la Santa durante il martirio con i carboni ardenti. Nei fatti il cosiddetto “velo” di colore rosso faceva parte del vestimento con cui Agata si presentò al giudizio, essendo questo, indossato su una tunica bianca, l’abito delle diaconesse consacrate a Dio. Secondo un’altra leggenda il velo era bianco e diventò rosso al contatto col fuoco della brace. Nel corso dei secoli, venne più volte portato in processione come estremo rimedio per fermare la lava dell’Etna.
In più occasioni a Sant’Agata è stata riconosciuto un intervento sulla città anche a protezione dalle epidemie. Nel 1576, quando la peste cominciò a diffondersi poco lontano da Catania, il senato pensò di ricorrere all’intercessione della patrona. Le reliquie furono portate in processione lungo le vie della città e, una volta giunte accanto agli ospedali dove erano ricoverati gli appestati, essi guarirono e nessuno fu più contagiato.
Nel 1743 una seconda ondata di peste stava per diffondersi da Messina anche a Catania. Le reliquie furono portate in processione e la peste cessò. In ricordo di questo prodigio, fu eretta nell’attuale piazza dei Martiri, una colonna romana (proveniente dal Teatro romano) sormontata da una effigie di Sant’Agata che schiaccia la testa di un mostro, simbolo della peste.
Dal 3 al 5 febbraio, Catania dedica alla Santa una grande festa, misto di fede e folklore. Secondo la tradizione, alla notizia del rientro delle reliquie della Santa nel1126, il vescovo uscì in processione per la città a piedi scalzi con le vesti da notte, seguito dal clero, dai nobili e dal popolo. Controversa è l’origine del tradizionale abito che i devoti indossano nei giorni dei festeggiamenti, il Sacco agatino: camici e guanti bianchi con in testa una papalina nera. Una radicata leggenda popolare vuole siano legati al fatto che i cittadini catanesi, svegliati in piena notte dal suono delle campane al rientro delle reliquie in città, si riversarono nelle strade in camicia da notte; la leggenda risulta essere priva di fondamento poiché l’uso della camicia da notte risale al XIV secolo mentre la traslazione delle reliquie avvenne nel XII. Il Ciaceri, insigne studioso dei culti e del folclore di Sicilia, afferma che l’abito bianco sia una eredità del precedente culto della dea Iside, come la barca – oggi non più in uso – che anticipava il simulacro della dea. Altri elementi caratteristici della festa sono il fercolo d’argento dove vengono poste le reliquie della Santa posto a sua volta su un carro o Vara anticamente senza ruote avendo nella sua parte inferiore 4 mezzelune metalliche che ne consentivano il trascinamento sul basolato lavico di cui le strade del centro storico sono costituite. In tempi recenti all’interno di tali mezzelune sono state poste delle ruote gommate con freni idraulici che ne garantiscono la sicurezza ma, comunque non esiste sistema di virata al punto che nelle curve a gomito la struttura deve essere sollevata da dei martinetti per consentirne il cambio di direzione. Nella processione di giorno 4 esso è adornato con garofani rosa (simboli del sangue e dunque del martirio subito dalla santa), mentre in quella di giorno 5 è addobbato con garofani bianchi (simboli di purezza, castità e di fede al Signore). Legati al veicolo due cordoni di oltre 100 metri cui si aggrappano centinaia di “Devoti” (con il Sacco agatinoossia la suddetta tunica bianca stretta da un cordone, cuffia o papalina nera, fazzoletto e guanti bianchi) che fino al 6 febbraio tirano instancabilmente il carro. La Vara viene portata in processione preceduta dalle candelore o cannalori, oggi in numero di tredici tra quelle “storiche” e quelle aggiunte e dedicate in tempi recenti, appartenenti ciascuna ad un altro corporazione degli artigiani cittadini o simboleggianti le offerte alcuni quartieri catanesi (“la Rena” o “villaggio Sant’Agata”) o della associazione dei devoti (il Circolo Sant’Agata). È considerata tra le tre principali feste cattoliche a livello mondiale per affluenza. Nel XIV secolo Sant’Agata è stata eletta compatrona della città di Pistoia, in quanto il 5 febbraio 1312 venne firmata la pace tra i pistoiesi e i fiorentini. La reliquia di Sant’Agata vergine e martire, venerata in Cattedrale, fu donata dal Cardinale Antonio Pucci, vescovo di Pistoia.
Sant’Agata è la patrona per:
Il suo culto è strettamente legato alla Preghiera a San Michele Arcangelo.
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